Dragonfly Duo

Dragonfly Duo

 

Dragonfly is a duo project by viola player Danusha Waskiewicz and cellist Naomi Berrill

The duo arranges and perform works by classical and baroque composers with an innovative approach as they both play instrument and sing melodic lines. An harmonic universe which is complex and easy at the same time

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DrangonFly è un progetto di Danusha Waskiewicz, violista, ex Filarmonica di Berlino e attualmente nel Quartetto Prometeo e Naomi Berrill, violoncellista che ha al suo attivo tre incisioni soliste dedicate al repertorio per canto e violoncello

Nato nel 2021, il duo ha debuttato al Festival Trame Sonore di Mantova ed è stato invitato alla Hindermit Competition di Monaco di Baviera

Il duo interpreta brani originali e di compositori classici e barocchi con un approccio innovativo, oltre ai propri strumenti Waskiewicz e Berrill cantano linee melodiche in un gioco sospeso e toccante tra voci e strumenti. Il risultato è un universo armonico complesso e al contempo gentile e onirico

Il ricco repertorio varia da Purcell, Dowland, Bach fino a brani della tradizione popolare folk

 

 

Duo Dragonfly
Adattare, trasformare, tradurre, interpretare: sono alcuni dei concetti adatti a inquadrare il
programma di stasera. In verità andrebbero applicati a qualsiasi occasione in cui si ascolta musica.
Troppo spesso, infatti, la musica viene ridotta ai grafemi, che sono le note disposte in bell’ordine
dagli autori su griglie chiamate pentagrammi e stampate su fogli di carta, immutabili. Mentre la
musica che giunge alle nostre orecchie è fatta dalle onde sonore che producono gli esecutori. Che
di quei grafemi sono interpreti, novelli aruspici di reperti ermetici chiamati spartiti e partiture. Così
gli scritti restano mentre tutt’intorno si rinnovano strumenti, pratiche di ascolto, sensibilità,
società.
E noi ascoltatori dobbiamo ricordare che viviamo in un mondo sonoro fluido. Che è buona cosa la
ricerca dell’autenticità dei passati romantici, classici, barocchi, rinascimentali. Ma che vale anche
la pena di abbandonare la filologia e provare altre vie. Strumenti nuovi per timbri nuovi. Spartiti
come piattaforme per inattese invenzioni. Come, peraltro, da sempre si è fatto e si fa.
Ecco il senso dell’avventura di stasera, fra un altrove passato e un presente vitale. Si combinano le
due fonti sonore più antiche e naturali, voci umane e corde accarezzate. I timbri sono diversi, ma
l’amalgama è perfetto. Il respiro degli strumenti si fonde con quello delle interpreti. Viola e
violoncello garantiscono un suono morbido a voci femminili che preferiscono sussurrare. Il parlato
subentra al canto, le dita della mano si sostituiscono all’archetto per pizzicare le corde o
tamburellare il legno. I percorsi melodici emergono comunque netti, anche quando passano da
una sorgente all’altra. Così il fluire della musica si rinnova, nel rispetto del testo scritto e nella
rivoluzione del suono. Con le affinità emotive che permettono accostamenti inconsueti di tempi,
luoghi, autori.
Il programma è pensato appunto per dimostrare il fondamento e il valore di tante, fin banali
premesse. Si inizia con l’età d’oro della musica nelle isole britanniche. Forse nato a Dublino ma
cosmopolita al servizio di re danesi e inglesi, il liutista e cantante John Dowland pubblicò il suo
First Booke of Songes or Ayres nel 1597, una raccolta di canzoni che già nel frontespizio prevede
esecuzioni flessibili: voce singola e liuto, ma anche complesso di viole o coro polifonico, o altri
mezzi di futura invenzione. Uno dei pezzi più famosi, Come Away, sweet love, ben rappresenta lo
stile intimo e malinconico del suo autore. Proprio per questo il non meno malinconico tono di My
Lagan Love si inserisce bene nella sfera emotiva dell’elisabettiano Dowland pur se attribuito alla
tradizione popolare irlandese. In realtà è stato reinventato a fine Ottocento da Joseph Campbell
(parole) e Herbert Hughes (musica) e baciato dal successo in chiave di revival celtico pop rock, fra
gli altri da Van Morrison, James Galway, Kate Bush, Sinéad O’Connor…
Serve da interpolazione la Chaconne più famosa fra le tante (almeno sette) scritte dal prolifico
Henry Purcell, in origine solo strumentale ma da sempre oggetto di infinite varianti di organico. Un
calco risalirebbe al 1677, un altro al 1680, una nuova versione al 1687 inserita nell’ode Sound the
trumpet, beat the drum con destinazione finale in King Arthur (1691), semi-opera su versi di Joh
Dryden, il maggior poeta inglese del tempo. Sono quindici variazioni sul passo cadenzato della
danza (forse) ispano-americana che ha stimolato l’intera età barocca, da Monteverdi a Vitali, da
Schütz a Bach a Handel, continuata fino al Novecento e oltre di Benjamin Britten, Béla Bartók,
Philipp Glass, John Adams…
Del perduto amore, del rimpianto, della tristezza endemica irlandese canta pure The Salley
Gardens (I giardini dei salici piangenti), motivo tradizionale con parole di nuovo reinventate dal
nativo poeta William Butler Yeats e musica ricomposta dall’inglese Benjamin Britten nella raccolta
Folk Songs Arrangements (1943). Quei versi concisi e tristi hanno stregato tanti altri compositori,
prima e dopo Britten, compreso il nostro duo Waskiewicz-Berrill.

Passando dalle isole britanniche al continente europeo, ritroviamo ancora ispirazione popolare. I
frammenti d’origine pianistica tratti da Per bambini (1908-09, revisione 1945) di Béla Bartók sono
una doppia copia di microcosmi ritmo-melodici ispirati al folklore ungherese e slovacco, semplici
ma non semplificati. Segue un capolavoro tratto dall’Italienischer Liederbuch (1892) dell’austriaco
Hugo Wolf su parole che al futuro premio Nobel tedesco Paul Heyse furono suggerite dal suo
sconfinato amore per la lingua e la poesia italiana: la raffinata costruzione musicale è come
mascherata dal titolo Auch kleine Dinge können uns entzücken (Anche piccole cose ci possono
deliziare). Si passa alla tradizione liturgica luterana con il coro Gottes Zeit ist die aller beste Zeit, (Il
tempo di Dio è il migliore di tutti i tempi) della cantata sacra BWV 106 di Johann Sebastian Bach,
conosciuta soprattutto per il sottotitolo Actus tragicus. È lavoro giovanile (1707) e grave, con le
nostre interpreti impegnate a rendere la speranzosa rassegnazione che, nella non usuale partitura
originale, flauti dolci e viole da gamba aggiungono alle parole di solisti e coro.
Il tragico esplode pure nel gran lamento con cui Didone si immola mentre un Enea disperato
l’abbandona. L’aria When I Am Laid on Earth chiude la perfetta opera da camera Dido and Aeneas
(1689) di Henry Purcell; e chiude l’intera stagione aurea della musica inglese, prima che il ciclone
del tedesco Handel imponga a Londra di cambiare tutto, sotto le bandiere dell’opera italiana.
Trascrizione, rilettura, interpretazione (creativa) troviamo infine applicate alle Variazioni Goldberg
(1743). Anche in questo caso, il testo originale che Bach attribuisce alle tastiere (del clavicembalo)
è stato più volte ripensato e non solo trasferito alla sua più fisiologica destinazione, il pianoforte. Si
sono accumulate nel tempo versioni per archi, organo, ottoni, fisarmonica, chitarra, complessi
jazz. Stasera, due libellule femminili, con canto di voce, di viola e di violoncello, selezionano l’Aria
che fa da tema e otto variazioni per conquistar loro una nuova identità, doverosa e piacevole, non
solo legittima.
Enzo Beacco